Massimiliano Paci
1° classificato
Il lago di Annie
Ecco se la bruma individua un varco
che l’affiora, si rifà il tempo
che frantuma una gemma per dirne mille – questa, che un cielo di fiamma
al viso restringe, è la tua corsa.
Guardati i piedi nella carne simili nell’arte
della falcata non muovono che lenti
nel fantasma di un occhio oscuro da far quasi paura
al chiaro taglio della luminaria. È una grazia un poco
remota sui ventagli a soffiarti con disappunto
effetto, e non causa – qui in silenzio
sopra una foglia secca da me condivisa.
Né dà rumore il nome uscito a forza da una bocca
rocciosa, rovente lava – finché un tuffo
nel veloce inganno rovescia con astuzia il nulla.
A memoria dove il tempo posa
è un morto che passa…
dove siamo? Non ridere, a lungo
ho sfiorato le mani al tempo
dai moli di una dolce e fedele noia;
come in un liquido invischiante
questo mio volto trattenuto da unghie
d’incantata urla e vertigine…
dove siamo? Lascia stare i guasti terreni
d’ogni urto miope che sfila per fretta
regolato dalla memoria come da lancette antiorarie
di un camposanto che t’afferra alle sporgenze del cuore;
ti porgo, mia notte e mia stella, la magra pietà
funeraria di quello che la terra riposa,
o forse solo il formicolio di un limite preciso
dove il cerchio stempra dolcemente
il nostro tempo bruciato – tutto di noi.
Sergio Pensato
3° classificato
Una cartolina dalla Sicilia
(enfasi e crescendo d’ironia)
Fontane di luce nel turchino che s’accende.
La pietra geme la fatica della terra
e torchia sangue e zolfi dal vino nelle botti nere.
Come ombre ci leviamo nella valle del fuoco
muti e colpevoli: ci rode una febbre infantile
un presagio di cure materne e di tempo che si svuota,
giunti che siamo ad una stagione inattesa.
Lubriche pozze di braci nella notte tinta e vizza.
Nel crogiolo brulicano uomini e sogni: la valle è ai loro piedi
e curva come una sposa ingrata
riluttante attende.
Il vento duro e puro schiaffeggia quei miasmi e scatta
come una bestia offesa, stende cristalli e vibra
profumo di resina sull’arco del ciglio
corona di pini oscuri:
ora rabbrividisce e scarta
impervio.
Rabbrividisce la sciara che cerca gli scarponi
e sbreccia nera e cava nell’aspro della bocca.
Quando tutto sarà passato passerà il cacciatore
affonderà sicuro nel solco schivo del cirneco.
Come affiora lava tra gli alberi li attizza
un torciglio di agonia: e guardi smarrirsi
lo strazio della boscaglia
nel caos che l’assorbe.
Paola Scatola
6° classificata
Lucido come fiamma…
Lucido come fiamma
e tu sei come la notte
e come mi piace il silenzio
perché sei come assente
ed una parola basta del sole che crea il tuo corpo gaio
tenebroso il mio cuore di creatura fine ti cerca
tu sei la gioventù
l’ubriachezza dell’onda il papavero e l’acqua
che tra ombra e spazio smorto nella fronte
è un udito che nasce
quasi giungessero fantasmi e draghi
di colpo il vento che frena il mio petto
come un antico specchio
senza tregua e un nome confuso.
Furioso per ogni giorno di vita
come l’estate radiosa
con l’augurio di scambiarsi lunghi viandanti baci
sui seni che luccicano come occhi di eleganti palme
dove gli eroi son puledri
si uniscono con ardenti mani sudate
con tenerezza infinita e curiosa.
Federico Tristano Mazzonelli
7° classificato
Nel gesto del grisantemo
Non posso dire dove dal colle
infuriano i gerani, e il grisantemo
spacca, schiude la sua corona,
attirandomi nel gesto recide l’immenso
verde prato
fluido come acque nelle mie dita carnose;
i miei occhi non posso dire come,
flauti magici chiamano a raccolta
preziosi movimenti di nuvole, sono
forte
e muto e
cieco. I fiori conoscono,
la bellezza va modulata,
l’anfiteatro del colle
brulica d’attese, suonerò
prima dell’imbrunire.
Silvia Favaretto
8a classificata
La ferita del mio amore sanguina viola e diviene notte
Ho costruito sentieri di sogni e sospiri
affinché tu potessi percorrere
il cammino verso il mio centro…
sarai forse annegata nella mia ultima lacrima?
Sbriciolo la consistenza della mia essenza.
Affondo nella polposa carne uterina
risucchiata dal ricordo.
Andrò a cercarti verso il nostro mare.
So che sei lì nascosta,
nella pancia di qualche conchiglia.
Lo so perché è così che sei arrivata a me.
Ero dura conchiglia bivalva,
la mia corazza proteggeva
la molle carne rosea dei miei sentimenti.
Granello di sabbia, entrasti
dal varco che ti lasciai, distratta, fra le due alve.
Il tuo mondo divenne perla nel mio grembo.
Dal mio ventre rilucevi splendida ma,
quando dovetti schiudere al mondo
la mia corazza dura,
il mondo ti vide così bella,
che ti trasse via da me.
Non sei più mia. Sei del mondo.
La mia corazza ti rinchiudeva e ti ingabbiava.
Ora rifletti la calda luce del sole e non solo
il roseo luccichio delle mie viscere.
Ma io mi sento quello che sono e cioè
una cappa svuotata del suo tesoro e del suo amore,
violata del suo segreto,
con la carne ferita dal coltello
che le sviscerò la sua perla,
sola e stanca, sbattuta dalle onde.
Renata Rusca Zargar
9a classificata
Terra bruciata
Note di gioia nel buio fresco della sera,
voci leggere di canti,
sonagli, campane e slitte.
Ricordi di Natali inconsapevoli
quando la vita mi appariva diversa
perché osavo stendere in alto le braccia
e volare come un aquilone,
attraversare l’azzurro frizzante
del cielo
repirando il profumo dei boschi in fiore
a piene mani,
mentre la musica scorreva nel sangue.
Allora tutto il potere del mondo
era ai miei piedi,
dove l’uomo non conosce male
ma vita e amore,
solo amore, per sempre.
Ormai ho smesso di volare
e la disperazione rarefatta nell’aria
penetra dappertutto
mentre le persone che amo stanno andando via
in un lungo calvario di dolore
&endash; terra bruciata intorno &endash;
e sotto i bianchi marmi
ingioiellati di fiori e lumi
sentono freddo le ossa abbandonate.
Le note si trasformano or ora
in melodie struggenti
da strappare il cuore
per chi non ha più sogni
a condurlo lungo il triste cammino.
Laura Pedrinelli
10° classificata ex aequo
La vita di un bambino
La polvere del gioco
invase.
Sbiadito ora permane il ricordo
di materni abbracci,
quando desideri nefandi
si inerpicano nella carne e
penetrano.
La mente a volte è straniera
come l’inquietudine di chi tace.
Lo Stato affonda nell’abisso
di inettitudine, da cui
solo il fievole sorriso di un bambino
si eleva e riflette;
riflette la colpa di essere fuscello.
E i freddi crisantemi non adornano
che il ricordo
di violenza subita.